06 febbraio 2005

Il Volto

Impietrito aprii gli occhi in cerca di ciò che aveva causato quel tremendo tonfo.
Non scorgendo niente nelle immediate vicinanze, presi coraggio, mi sollevai dalla sedia e cominciai a muovermi verso le sale della biblioteca. Nell’avvicinarmi alla sala Z non potei fare a meno di vedermi, barbuto e un po’ trasandato, negli specchi che affiancavano l’accesso al salone. Mi soffermai un attimo a contemplare la mia immagine e fui contento di notare che con il trascorrere del tempo il mio sguardo attento, che lasciava trasparire la mia voglia di conoscenza, non era cambiato. Contrariamente il mio aspetto era ormai molto diverso da due anni fa. Già, due anni fa, quando finalmente ero riuscito a prendere l’agoniata laurea in storia medievale, e avevo iniziato a lavorare come bibliotecario qui a Xxxxx.
Mentre riflettevo sul mio passato mi accorsi che nello specchio oltre la mia immagine ve ne era un’altra, inquietante, che sovrastava la mia di un buon palmo.
Fui colto dal terrore. Fulmineamente mi girai, pronto a rispondere a qualsiasi gesto “dell’essere”. Ma dietro di me non vi era nessuno. Istintivamente mossi lo sguardo in cerca di qualche movimento; ma non ne scorsi alcuno.
Turbato da quegli strani eventi, decisi di finire alla svelta la perlustrazione e di tornarmene a casa.
Quindi aprii la porta della sala Z ed entrai. A prima vista tutto era in ordine. Nella sala, vi era un unico enorme tavolo in legno finemente lavorato e coperto da un innumerevole numero di tomi. Questo però non era tutto, e la mia anima in preda al terrore ciò lo sapeva; infatti dietro al tavolo, seduto su di un seggio, vi era LUI, la figura dello specchio.
Impietrito non potei fare altro che ascoltare ciò che quell’uomo, dal volto nascosto dietro un enorme cappuccio e avvolto in una specie di saio di pelle nera, aveva da dirmi.
“Non temere, non ti farò alcun male. Tu sei molto importante per me. Vieni avvicinati devo raccontarti una storia, devo dirti chi sono, e devo mostrati delle cose che ti aiuteranno a forgiare il tuo spirito in vista dei futuri eventi.”
Cercai di prendere in mano la situazione dominando la paura e farfugliai :
“Non capisco di cosa stia parlando e quindi se non vuole che chiam...” mi interruppe con un gesto della mano destra.
“ E’ chiaro che tu non capisca. Se già sapessi io non sarei qui ora ma mi avresti già incontrato” disse, mentre si alzava dal suo seggio.
“Vieni con me”
Lo seguii. Tentai di non farlo ma ero troppo affascinato, troppo preso.
Mi sembrava di essere legato a LUI da un filo invisibile.
Ripercorremmo i corridoi della biblioteca fino a raggiungere l’uscita.
Ciò che mi si parò davanti agli occhi mi lasciò senza fiato; spiritualmente annientato. Ancora non sapevo che ciò che vidi in quell’istante era niente a confronto di ciò che avrei veduto nei minuti successivi. Le strade della città erano deserte. L’aria era piena di uno strano pulviscolo che creava una specie di coltrina di nebbia, dando l’impressione che tutto fosse irreale, sfuocato. Vi era una completa assenza di colori in quello scenario. Sentii LUI respirare profondamente, come se assaporasse quel mondo che a me parve da subito poco piacevole.
“E’ giunta l’ora per te di osservare. Seguimi”
LUI mi precedette, e iniziammo a incamminarci.
Sembrava di essere in una città fantasma. Le auto erano abbandonate, i palazzi vuoti; non si sentivano i rumori della vita. Tutto taceva.
Ad un tratto però qualcosa di impercettibile si iniziò a insinuare nella mie orecchie. Sembrava un canto. Una flebile litania eseguita da milioni di bassissime voci.
“Da dove proviene questo canto?” chiesi molto incuriosito dal fatto che, in un luogo ormai spento come quello, vi potessero essere persone ancora in grado di aggrapparsi ad una preghiera di speranza.
“Non chiedere ciò che presto non vorrai sapere. Io sono qui per guidarti e darti la possibilità di osservare. Altro non so.” Riprendemmo il cammino mentre il suono si faceva sempre più alto e
ciò che prima era lievemente percettibile ora era udibile e comprensibile. Non di litania di speranza si trattava ma di una maledizione ininterrotta. Sembrava il grido straziato di milioni di anime. Fui colto dal terrore. Cosa poteva causare un dolore simile ad un essere umano?
Iniziai a correre. Superai l’essere e le due case che mi dividevano dalla piazza. Non credetti a ciò che vidi. Era impossibile che una cosa del genere potesse verificarsi lì davanti a me. Dalla pavimentazione della piazza fuoriuscivano, come grossi alberi, dei lunghissimi pali e per ognuno di essi, a guisa di chioma, vi era infilzato per le viscere una persona. Il canto che io avevo scambiato come una litania di speranza non erano altro che le imprecazioni di questi esseri agonizzanti che con le loro ultime forze imprecavano contro Dio e contro il loro aguzzino. A quella vista il mio stomaco non resse e senza controllo iniziai a rigettare. Avevo le narici piene dell’odore del sangue e della morte. Mi sentii toccare le spalle. LUI era dietro di me.
Mi aveva raggiunto, il suo viso era ancora coperto, ma pur non vedendo la sua espressione capii che quella visione non lo aveva minimamente scosso. Ne ira ne odio avvertii in lui solo un’estrema apatia.
“Chi ha mai potuto fare una cosa del genere? Chi può disprezzare così tanto la vita altrui a tal punto da annientare lo spirito di questi poveretti?
Chi? Dimmi chi è?” gridai mentre i miei occhi si riempivano di lacrime.
“Lo vuoi veramente sapere? Se si, procedi con me, altrimenti non fare un altro passo oltre questo punto o finirai tra le braccia della disperazione”.
Ero ancora chino a terra quando LUI riprese il cammino.
Mi asciugai gli occhi con la camicia e lo seguii attraverso quello scempio verso un palazzo piuttosto antico che dominava l’intera piazza.
Tutto rimaneva estremamente etereo, il mio cervello faceva fatica a capire se era un sogno o realtà o cosa c’era di reale in quel sogno.
Mentre passammo attraverso quel folto di cadaveri ne sentii alcuni che dicevano “ Il Re. Maledetto sia il Re. Presto anche LUI, non solo passeggerà per il suo giardino, ma rimarrà anch’egli qui con noi.
Il Re. È qui che passeggia il nostro aguzzino”.


Giungemmo al palazzo e ne varcammo l’entrata.
Percorremmo alcuni corridoi fino a giungere in una sala
riccamente addobbata e piena di persone. Nessuno ci notò, era come se fossimo invisibili, o meglio a me sembrava che ad essere invisibili fossero loro. Come al solito tutto era attenuato da un velo di opacità.
Nella sala le persone parlavano fra di loro, ma non appena udirono queste parole tutti si zittirono.
“Non vi sembra che gli alberi del mio nuovo mondo siano molto più rigogliosi e vivi?”
“ Certo sire!” risposero in coro
A quelle parole sentii l’ira salire. Potevo finalmente vedere il volto di quella spregevole persona. Mi feci largo tra la folla fino a portarmi sotto il palco dal quale il Re assisteva alla sua cerimonia. Finalmente lo vidi. Lasciai scorrere lo sguardo dal basso all’alto. Il Re era vestito completamente di pelle nera e nelle mani guantate reggeva una maschera, una bauta di cuoio anch’essa nera con alcuni fregi ornamentali dorati. Non appena fissai i miei occhi sul suo viso
fui nuovamente colpito dalla nausea e da una sensazione di vuoto che forse solo gli ignavi potevano provare. Infatti il volto che stavo fissando con odio altro non era che il mio volto. Il Re che avevo così profondamente disprezzato ero io. Colto dal panico iniziai a correre verso l’esterno, incurante della gente che non mi poteva vedere.
Solo la voce del mio accompagnatore riecheggiava ancora nei corridoi vuoti del palazzo seguendomi nella mia disperata fuga.
“ Fermati! E’ inutile scappare. IO sarò sempre con te”.
Continuai a correre incessantemente, finché non caddi riverso a terra e iniziai ad urlare.
Mi svegliai urlando, prono, accanto alla mia scrivania. Velocemente mi alzai e controllai se ero sporco di materiale gastrico o se la suola delle mie scarpe era sporca di sangue.
Nulla. L’unica spiegazione plausibile fu quella del sogno. Un sogno molto vivido intenso ma pur sempre un sogno.
Tirando un sospiro di sollievo decisi di andare a prendere la mia roba nello spogliatoio del personale. Entrai fischiettando mi diressi al mio armadietto e aprendolo mi cadde lo sguardo sullo specchio.
LUI era lì, il volto nascosto dietro un enorme cappuccio e avvolto in quella specie di saio di pelle nera.
“Ciò che ero ritornerò...la morte finalmente abbraccerò”.


I primi che l’indomani arrivarono in biblioteca videro il giovane bibliotecario riverso sul pavimento del bagno in un lago di sangue.
Ma la cosa più strana fu che al posto del volto del giovane vi era una bauta di cuoio nera dagli splendidi fregi ornamentali dorati.

Autore - SIMONE

1 commento:

Anonimo ha detto...

Non sono sicuro di averlo capito bene... però mi è piaciuto. Parecchio inquietante...

Vittorio