19 febbraio 2005

Racconti di Messara

“Messara è sempre stato un paesino come tanti. Si trova lontano da grandi arterie di traffico, e non è mai arrivato a cinquemila abitanti. E’ uno di quei luoghi di cui i giovani si stancano presto.
A Messara c’erano soltanto due cose un po’ fuori dall’ordinario.
Una era la vecchia casa disabitata che si trovava nel bosco sulla collina. Era stata la casa padronale dell’unica famiglia di sangue nobile che avesse mai vissuto da queste parti. La famiglia si era estinta quasi cento anni prima e la casa era stata ereditata un pezzo ciascuno da un numero imprecisato di parenti che non riuscendo a mettersi d’accordo su che farne l’avevano lasciata andare in rovina. E mentre lentamente andava in rovina aveva cominciato, ovviamente, ad avvolgerla un alone di mistero. Tra i bambini erano cominciate a girare storie su una strega, forse messe in giro da qualche nonno in vena di scherzi, forse inventata del tutto da uno di quegli stessi bambini… e una volta createsi, la superstizione e la leggenda avevano preso ad allignare. Ad essa molto contribuiva il muro di cinta che pur sgretolandosi progressivamente continuava a difendere la casa dai meno audaci. C’erano stati ragazzini che erano riusciti a scavalcarlo e, anche se tutti erano tornati sani e salvi, un paio di essi vi avevano inventato sopra qualche storia strana, accrescendo la leggenda.
D’altronde nessuna cittadina di provincia può esimersi dall’avere una casa stregata per spaventare i bambini.

“L’altra cosa che ad un paese per quanto piccolo non può mancare è il ‘matto’, che nei nostri tempi politicamente così corretti, si potrebbe ridefinire come l’originale o magari il ‘problematico’. E la seconda cosa ‘fuori dall’ordinario’ di Messara era, appunto, il suo ‘matto’.
Di persone problematiche in realtà nel paese, come in qualunque altro luogo del mondo, ce ne sono sempre state varie… ma quello che tutti conoscevano era un ragazzo che aveva attorno ai venticinque anni e si chiamava Greg.
Greg era stato un bambino molto introverso e intelligente, ma anche molto sfortunato. Il motivo per cui tutti in paese lo conoscevano era perché a tredici anni era stato il solo testimone dell’unico atto di violenza di una certa rilevanza che si ricordasse a Messara nei precedenti trent’anni. Un uomo aveva sequestrato un pomeriggio lui e sua sorella di due anni più grande, violentato la sorella e appiccato il fuoco alla sua casa. Lui si era salvato per miracolo, ma la casa era andata completamente distrutta e sua sorella era perita nel rogo. L’assassino era stato arrestato il giorno successivo in un paese vicino. Era un balordo alcolizzato con vari precedenti penali, anche se nessuno veramente serio.
In realtà qualcuno diceva che in tutta la vicenda c’erano alcune incongruenze, arrivando addirittura a formulare l’ipotesi che fosse stato lo stesso Greg ad appiccare il fuoco alla casa. Penso che nessuno ci credesse seriamente ma quella diceria insieme a tutti gli strani comportamenti che il trauma gli aveva fatto assumere, era bastata a creare introno a Greg una certa diffidenza.
Dopo quell’episodio infatti era diventato ancora più chiuso e problematico, non dormiva quasi mai e soffriva di incubi spaventosi, tanto che non era raro per i vicini sentirlo urlare nel cuore della notte. A scuola rifiutava di stare in una classe che non fosse al piano terra, e in un posto che non fosse vicino alla finestra. Era terrorizzato da qualsiasi fiamma, anche quella degli accendini. Poi cominiciò anche a rifiutarsi di stare seduto, la madre allora lo mandò in una clinica. Quattro anni dopo morì e Greg fu rispedito a casa. Aveva diociotto anni. Per fortuna era in fondo un ragazzo forte per cui quando l’assistente sociale gli aveva trovato un appartamento ed un lavoro e lui era riuscito a ritagliarsi un piccolo spazio. Era rimasto straordinariamente introverso, ma a quanto diceva Wanda, la donna da cui lavorava come commesso, anche straordinariamente intelligente e gentile. Però la diffidenza di tutta quella gente che rifiuta qualsiasi cosa fuori dalla norma, che in un piccolo paese non è poca, non lo aveva mai del tutto lasciato.
E questa è per sommi capi la storia di Greg, che non essendo più entrato in buona sintonia con i luoghi chiusi girava spesso per le vie quando non era al lavoro, cosa che lo rendeva ancor più il perfetto ‘matto’ del paese. Temuto da alcuni, guardato storto da altri, compatito dai più e venerato da Wanda che lo trattava, per quel tanto che lui glielo lasciava fare, come un figlio adottivo.

“Un giorno di inizio giugno arrivò a Messara un’altra cosa un po’ fuori dall’ordinario, la terza. Arrivò in corriera e per ironia della sorte si chiamava June, come il mese in cui arrivò. Era una ragazza stupenda, magra e un po’ diafana, con gli occhi scuri e capelli color grano, disse che aveva diciannove anni, ma ne dimostrava quindici.
Affittò una stanza dalla vecchia Becky e disse che si sarebbe fermata soltanto per l’estate. Al Grill trovò un lavoro da cameriera che le calzava a pennello, perché Alfred assumeva sempre una ragazza in più d’estate, quando aggiungeva i tavoli all’aperto.
June mise immediatamente in tumulto i cuori di tutti i ragazzi del paese, e anche quello un po’ malato di Alfred, che rischiava un coccolone (e un colpo di mattarello in testa dalla moglie) ogni volta che la ragazza si chinava per servire ai tavoli. June era gentile con tutti, ma molto schiva. Non aveva detto a nessuno da dove venisse, né che scuola aveva fatto o dove, anche se dopo molte pressioni si era lasciata sfuggire questo dato importante: che era diplomata. Torme di aspiranti glottologi avevano cercato di studiare il suo accento per cercare di carpirne la provenienza, ma senza risultato. Sul fatto che non fosse delle loro parti tutti sembravano concordare, ma sul luogo di provenienza, nessun reale indizio. E la vecchia Becky che era stata l’unica persona a vedere i suoi documenti, aveva mantenuto sulla cosa (con molto divertimento) il più assoluto riserbo. Il massimo che le si era riusciti a scucirle era che June aveva effettivamente 19 anni e che era nata nell’Oregon.

“Ho sentito dire che le cose strane hanno la tendenza a trovarsi a vicenda. Non sò se sia vero in generale ma in questo caso lo fu, perché June e Greg divennero amici.
Tutti in paese avevano amato June sin da quando era scesa quel bus l’aveva portata da noi. Greg non faceva eccezione e il suo amore era tra tutti quello che appariva più puro. June somigliava a sua sorella, in un certo qual modo. Non tanto nella maniera più banalmente esteriore. Piuttosto era qualcosa che riguardava il modo di sorridere, di camminare e di parlare.
Greg cominciò a uscire la sera, addirittura ad andare al Grill, qualche volta. Sedeva ai tavoli all’esterno bevendo aranciata, e guardava il tramonto e le auto passare. June dal canto suo parve restare colpita dalla sua tranquillità e dalla sua fragilità; dai suoi sguardi timidi, così diversi da quelli degli altri ragazzi. Non ci misero molto a diventare amici, anche se non avevano molta occasione di vedersi.
Lui usciva dal lavoro alle sei e lei attaccava alle sette. In quell’ora per lo più camminavano per le vie del paese e Greg per la prima volta nella sua vita suscitava l’invidia degli altri.
Wanda era agitatissima per quella loro amicizia, molto felice ma anche un po’ gelosa. Vedeva l’amore stampato negli occhi di Greg e temeva che quando lei se ne fosse andata, se lo sarebbe portato via. Certamente lui sarebbe andato, se lei glielo avesse chiesto.
Sembravano veramente felici insieme, ma non durò molto. In un giorno di fine luglio Ada li vide avviarsi assieme verso la casa sulla collina e nessuno li vide mai più.

“Le ricerche cominciarono dai boschi attorno alla casa. Li batterono a cerchi concentrici, per tre giorni e tre notti, vi trovarono qualche cerchio di pietre, ma nessuna traccia dei due. Andarono anche nella casa, ma non trovarono nulla che facesse pensare che Greg e June vi fossero nemmeno entrati, la polvere sembrava non essere stata mossa da molti anni, si riconoscevano ancora delle impronte di piedi piccoli, ma erano vecchissime.

“Ancora non so se le cose strane abbiano davvero la tendenza a concentrarsi, ma due delle cose fuori dall’ordinario di Messara erano andate verso la terza, e quello che è accaduto non è stata una cosa buona.
Dopo la scomparsa di Greg e June la polizia sprangò comunque porte e finestre della casa, e rinforzò tutte le recinzioni, in modo che nessuno vi potesse più entrare. Su Greg ricominciarono le voci malevole. Dicevano che era stato lui a uccidere June, come aveva fatto con la sorella molti anni addietro, e che poi era fuggito. Ma anche altre voci si misero a girare, voci che dicevano che la scomparsa dei due ragazzi era stata opera della strega.”

Il giornalista spense il registratore e si alzò dalla sedia. Si avvicinò alla finestra e guardò fuori. Il sole stava per tramontare, non c’era ancora molto più di un’ora di luce.
“E’ una bella storia.” Disse.
“Oh no. Nient’affatto. Forse lei la trova tale perchè è venuto qui ad ascoltare vecchie storie raccontate da una vecchia suonata per poi scrivere un articolo sperando di venderlo a qualche rivista di ciarlatani. Io che qui ci vivo, non la trovo affatto una gran bella storia.” rispose la vecchia.
Il giornalista picchettò col dito sul vetro.
“Lei non crede in quello che racconta nei suoi articoli, vero?” gli chiese lei.
“Lei ci crede in quello che mi ha raccontato?”
“Io le ho raccontato soltanto quello che chi ha buona memoria sa essere successo ormai molto tempo fa. Questo non ha necessariamente molto a che vedere con quello che io credo né, ad essere pignoli, con la verità.”
“Ah no? E che cosa pensa lei di tutto questo?”
La vecchia trasse un respiro profondo: “Penso che ho quasi cent’anni e non avevo mai visto così tanti ratti correre fuori dalle fogne come se ne fossero stati cacciati. Penso al fatto che per le strade spesso si sente uno strano odore fetido… al fatto che sono spariti tre bambini negli ultimi due anni e che la poca gente che viene a vivere qua non resta a lungo.”
“E non pensa che Greg e June potrebbero essere fuggiti insieme?”
“Lasciando a casa tutte le loro cose? Difficile.”
Il giornalista si schiarì la voce. “Signora Kallum, se la sente di accompagnarmi alla casa?”
“A patto che lei abbia un’automobile. Non credo di essere più in grado di arrivare fin lassù a piedi.- rispose lei compostamente - In ogni caso non si vede granchè dalla strada.”
“Se non altro farò qualche foto.”
“Come vuole.”

La strada che si inerpicava su per la collina era dissestata, ma non tanto da impedire all’auto di giungere senza difficoltà nei pressi del cancello. La casa destava una certa soggezione, occhieggiando dal fondo del vialetto da un bosco inselvatichito, ma era più austera che spaventosa, e non poi così diversa da tante altre che si trovavano il quella zona. Il giornalista camminò un poco avanti e indietro nel piazzale cercando con la macchina fotografica qualche inquadratura ad effetto, ma non parve molto soddisfatto.
La vecchia rimase seduta tutto il tempo dal lato del passeggero.
“Signora Kallum… non c’è un punto da cui si veda un po’ meglio?”
Ella sospirò. “Se intende un luogo fuori dal cancello, temo di no.” rispose attraverso il finestrino.
Il giornalista si fermò di colpo: “Saprebbe farmi entrare?”
“Ho quasi cent’anni, conosco Messara metro per metro… e questo luogo, ahimè, non fa eccezione. Torni in macchina, dobbiamo andare un po’ più avanti.”

Mezzo chilometro oltre si fermarono nuovamente. Il muro di recinzione era particolarmente ben conservato in quel punto e quasi scompariva sotto una selva di edera.
“Qui?” chiese il giornalista.
“Lì in mezzo.” La vecchia alzò un dito ossuto ad indicare l’intrico.
Il giornalista scese, si appese febbrilmente la macchina fotografica a tracolla ed andò verso il muro cominciando a scostare i rampicanti.
“Più a destra.” Disse la vecchia.
“Qui?” si spostò il giornalista.
“Di più.”
“Non vedo nulla.”
“Metta le mani dentro.”
Con una leggera esitazione il giornalista infilò le mani all’interno della vegetazione.
“Dovrebbe trovare una grata.” aggiunse lei.
Il giornalista cercò per un paio di minuti, sempre esitante.
“Bisogna che ci si metta un po’ più deciso, o si farà notte.” lo sollecitò la vecchia.
“E’ una parola… ma quanto è spessa quest’edera?”
“Parecchio, è più vecchia di me.”
Passarono ancora un minuto o due senza che il giornalista compisse progressi.
“Ma come fa a conoscere questo passaggio? Cos’è una specie di passaggio segreto?” chiese.
“Non dica stupidaggini, maledetto scribacchino… questo cancello non era affatto nascosto quando i giardinieri tenevano a bada l’edera.”
“E lei come fa a conoscerlo?”
“Le ho detto che qualche bambino è stato nella casa, no?”
“Si, me lo ha detto.”
“E che ho quasi cento anni, gliel’ho detto?”
“Più di una volta.”
“Ha altre domande o ci arriva da solo?”
Il giornalista continuò a cercare con le mani, ma senza successo.
La vecchia scese lentamente dalla macchina ed andò da lui: “Lasci fare a me.” disse.
Fece un ulteriore passo verso destra, scostò l’edera ed allungò una mano, sicura. Si sentì un leggero rumore sferragliante, poi un “clack”.
“Dopo di lei.” disse la signora Kallum.
“Ha deciso di venire con me?”
“Si, tutto sommato penso che sia meglio. La casa da qui non è lontana.”

Vista da presso la casa appariva alquanto più spettrale. Imbruniva, e il giornalista aveva la sensazione di stare diventando leggermente paranoico. Cominciava ad avere l’impressione che la casa non fosse del tutto disabitata, così come aveva l’impressione che la vecchia si muovesse un po’ troppo in fretta per la sua età anagrafica.
“Si sbrighi, dunque con quelle foto.” gli disse lei vedendolo esitare “Tra mezz’ora non ci sarà più nessuna luce.”
Il giornalista si mosse verso il lato anteriore della casa, tutte le finestre erano sprangate, ma la porta, che si trovava alla sommità di una piccola rampa di scale molto larghe, sembrava quasi pronta a cedere ad una piccola spinta.
Mosse alcuni passi verso di essa e poi si fermò con un piede sul primo gradino, incerto. Non avrebbe voluto ammetterlo, ma cominciava davvero ad avvertire un leggero senso di paura. La vecchia che arrancava dietro di lui giunse in quel momento.
“Signora Kallum…- le chiese indicando la porta, più che altro per smorzare la tensione. - non mi aveva detto che la polizia aveva sprangato porte e finestre?”
“La smetta di chiamarmi signora Kallum, mi chiami Rebecca.” rispose lei con fare noncurante.
“Ok... Rebecca.” disse il giornalista e mentre pronunciava il nome della vecchia signora ebbe di colpo un’illuminazione. “Rebecca… lei è la vecchia Becky?”
“Sono io.”
“Ma perché non me l’ha detto prima? Quindi lei conosceva June…di persona?”
“Certo, affittava una camera da me.”
Il giornalista seguiva ormai febbrilmente il corso dei suoi pensieri: “E conosceva anche Greg?”
“A Messara tutti conoscevano Greg.”
“Andiamo… ma allora lei mi ha raccontato soltanto una parte della storia!”
“Come le ho detto prima, le ho raccontato soltanto la parte nota a tutti.”
“E non ha voglia di raccontarmi anche l’altra parte?”
“Si sta facendo notte, è sicuro di voler rischiare che il buio la sorprenda qui?”
“C’è un posto migliore di questo per raccontare questa storia?.”
“Quanto a questo, certamente no.”

“June era veramente bella come un fiore. E quanto a Greg invece… se si può paragonare un paese ad un cesto, Greg era la mela marcia del cesto. Non all’esterno… il suo marciume non ha mai intaccato nessuno che gli stesse vicino. Greg era marcio all’interno. Era malvagio. Si fingeva timido e gentile. Fingeva con tutti, e finse anche con June.
Fu lui a portarla qui. Lui veniva qui spesso, di nascosto. Si potrebbe dire che ne era stato contaminato? No, non direi. Piuttosto veniva qui perché il suo animo corrotto, trovava con questo luogo una naturale assonanza. June si fidava di lui… o almeno questa era l’apparenza… e lo seguì docilmente. Greg conosceva il passaggio da cui siamo entrati e la portò qui e poi dentro casa.
Sin dall’inizio aveva giocato a farle paura e lei rideva. Al principio.
Ma una volta dentro, lui la condusse in cantina, e poi tornò di sopra e ve la chiuse dentro. Lei gridò a perdifiato per molti minuti, e lui la lasciò gridare finchè non ebbe più voce e cominciò a piangere. Come una bestia che si nutrisse di fiele, lui si nutriva della sua paura… allo stesso modo in cui molti anni prima si era nutrito della paura della sorella.
Cominciò a descrive a June attraverso la porta che cosa le avrebbe fatto quando l’avrebbe aperta. In casa aveva nascosto delle corde e anche… altre cose.
La tormentò per ore con quelle immagini. Poi, alla fine, entrò.”

Tra Becky e il giornalista calò il silenzio.
“Quindi avevano ragione quelli che dicevano che Greg era un mostro.” Affermò il giornalista con aria meditabonda. “Però sinceramente non capisco. Mi ha detto che la polizia non ha trovato nulla di June e Greg all’interno della casa.”
“Infatti.” Confermò la vecchia.
“Nemmeno le loro tracce nella polvere. Solo piedi piccoli, ha detto.”
“Proprio così.”
“Tutto questo non ha molto senso.” Il giornalista sospirò muovendo qualche passo, avanti e indietro. Aveva la sua storia e le sue foto, e per quanto lo riguardava l’articolo poteva anche bastare, ma ormai era mosso da una curiosità più personale: “Se anche quel che mi sta dicendo è vero, e non so chi possa averglielo raccontato… se pure Greg ha ucciso June e poi è fuggito, ed è riuscito a fare tutto questo senza lasciare la minima traccia... ebbene, questo che cos’ha a che vedere con i ratti che fuggono dalle fogne e i bambini che scompiono?”
“Non mi pare di aver mai detto che Greg abbia ucciso June.” rispose Becky tranquilla “C’è ancora una parte della storia, ed è quella più oscura di tutte. Dopo che gliel’avrò raccontata vedrà che non ci troverà più contraddizioni.”

“Quando Greg entrò nella cantina legò June ad un vecchio letto e si abbandonò completamente alla sua follia. Alla fine andò a prendere un bidone di benzina che aveva nascosto in precedenza e cominciò a cospargere la cantina, voleva dar fuoco alla casa per cancellare ogni traccia. Ma quando si voltò di nuovo verso June, lei era in piedi di fianco a lui. Non fece in tempo a profferire verbo che lei lo aveva già colpito.”
“Dunque quel giorno June si salvò.” affermò il giornalista pensieroso “Continuo a non capire.”
“Si, June si salvò. Eccome. Ma in realtà la domanda giusta è piuttosto se Greg si salvò, ammesso che gliene possa importare qualcosa di un mostro come Greg.” la vecchia trasse un profondo respiro. “Che June fosse bellissima è vero. E gentile anche… almeno esteriormente. Ma oltre a questo, nulla era quello che sembrava. June non veniva dall’Oregon e non aveva 19 anni. Ma specialmente… June non era la vittima innocente di un giovane folle. Nient’affatto. June non solo sapeva che cosa covasse Greg dentro, ma anzi, era proprio per quello che aveva stretto, per così dire, amicizia con lui. June voleva che Greg la portasse qui, e VOLEVA che scatenasse su di lei i suoi desideri più bestiali. Si lasciò quasi uccidere, prima di liberarsi.”
“E tutto questo… perchè?”
“Perché voleva che Greg riversasse nel suo ventre l’apice di tutto il suo odio e della sua follia… in modo che lui la aiutasse a concepire una stirpe di esseri mostruosi. Sono quei mostri che ora cacciano i ratti dalle fogne e fanno sparire i bambini. June era una strega. Nata e cresciuta in questa casa.”
Il giornalista scrollò le spalle: “Mai sentita storia più asssurda.” disse.

La porta della casa cigolò sinistramente, il giornalista si volse e vide la ragazza con gli occhi scuri e i capelli del colore del grano ferma sulla soglia, vestita soltanto di lunghi drappi chiari.
“Oh mio Dio…” ebbe soltanto il tempo di dire prima che la mano della vecchia lo colpisse alla nuca con un sasso.
“Corri a chiamare quel malnato di Greg.” disse Becky “E che si sbrighi a venire a legare questo imbecille. Se si sveglia mi toccherà finirlo e i bambini, il cibo, lo preferiscono vivo.”
“Si, mamma.” rispose June.


AUTORE - MAX

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Bello, davvero. Questo continuo integrarsi delle informazioni mi piace.
Ci sono un paio di frasi sbagliate, rilegglili Max! :P

Venti

Anonimo ha detto...

Molto bello ed inquietante: forza Max

Anonimo ha detto...

splendido. mi delude il finale, l'avrei preferito più noir...